Santi del 23 Aprile
*48 Martiri Mercedari Francesi *Adalberto di Praga *Egidio d’Assisi *Elena Valentini da Udine *Etelredo *Eulogio di Edessa *Gerardo di Orchimont *Gerardo di Toul *Giorgio *Giorgio di Suelli *Giorgio e Adalberto *Maria Gabriella Sagheddu *Marolo di Milano *Sebastiano de Riccafont *Teresa Maria della Croce *Altri Santi del giorno *
*Santi 48 Martiri Mercedari Francesi (23 Aprile)
+ Linguadoca, Francia, 1563
Il Linguadoca, Francia, 48 Santi padri dell’Ordine Mercedario, per la difesa della fede cattolica, furono uccisi in diversi modi dagli eretici Ugonotti nell’anno 1563.
Con il martirio effusero così il loro sangue ed ora con Cristo esultano per l’eternità.
L’Ordine li festeggia il 23 aprile.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Sant'Adalberto di Praga - Vescovo e Martire (23 Aprile)
Libice, attuale Repubblica Ceca, ca. 956 - Tenkitten, Prussia, 23 aprile 997
Boemo di origine, aveva un nome slavo: Voytèch. Poi, studente a Magdeburgo, è stato cresimato dall'arcivescovo locale Adalberto, sicché ha deciso di chiamarsi come lui. A 27 anni è già arcivescovo di Praga. È il secondo pastore della città.
Ma in questa terra ancora pagana Adalberto vede fallire il suo sforzo di evangelizzazione, e nel 988 abbandona Praga per Roma, dove si fa benedettino. Ma Papa Giovanni XV lo rimanda a Praga. Ma è ancora un fallimento. Nel 994 torna al suo monastero sull'Aventino.
Qui viene a trovarlo Ottone III. Ma per Adalberto giunge anche una notizia terribile: in Boemia c'è stato un massacro di suoi congiunti. In più papa Gregorio V lo rimanda a Praga, dove però per volere del duca di Boemia non può entrare in città. Si dirige così al nord, missionario tra i prussiani.
Il re di Polonia, Boleslao il Valoroso, lo aiuta con una scorta a penetrare in Prussia, fino a Danzica. Di là egli prosegue inerme con pochi monaci, ma il suo lavoro missionario dura appena pochi giorni: nella primavera del 997 Adalberto e i suoi compagni vengono trucidati presso la costa baltica. (Avvenire)
Etimologia: Adalberto = di illustre nobiltà, dal tedesco
Martirologio Romano: Sant’Adalberto (Vojtech), vescovo di Praga e martire, che affrontò molte difficoltà nella sua Chiesa e intaprese numerosi viaggi in nome di Cristo, adoperandosi con tutte le forze per estirpare i costumi pagani; accortosi però di trarre poco profitto, recatosi a Roma si fece monaco; giunto da ultimo in Polonia per portare alla fede i vicini Prussiani, nel villaggio di Tenkitten alle foci della Vistola fu trafitto con le lance da alcuni pagani.
Anno 999: Papa Silvestro II canonizza il vescovo Adalberto in Roma, dove il giovane imperatore Ottone III di Sassonia fa restaurare gli edifici del colle Palatino.
Altro che “terrori dell’anno Mille”, come si favoleggerà più tardi: ora, dopo secoli di aggressioni esterne, comincia per l’Europa un tempo di ripresa vivacissima.
Nascono anche degli Stati, come la Polonia e l’Ungheria, destinati a una vita ultramillenaria.
Boemo di origine, aveva un nome slavo: Voytèch. Poi, studente a Magdeburgo, è stato cresimato dall’arcivescovo locale Adalberto, sicché ha deciso di chiamarsi come lui.
A 27 anni lo troviamo già arcivescovo di Praga.
É il secondo pastore della città, dopo il tedesco Tiethmaro, e il primo di origine slava. Purtroppo qui il cristianesimo è ancora una novità mal compresa e combattuta da molti come straniera e avversa agli antichi usi locali, che vanno dalla poligamia alla vendetta di sangue, alla durezza con gli schiavi.
Adalberto vede fallire il suo sforzo, e nel 988 abbandona Praga per Roma, dove si fa benedettino.
Ma per i vescovi di Germania questa è una diserzione: protestano duramente a Roma, e papa Giovanni XV rimanda Adalberto a Praga. Lui obbedisce, torna, ritenta, ed è ancora un fallimento.
Non bastano la sua cultura, la sua ricca spiritualità e mitezza.
Solo, poco aiutato, rinuncia un’altra volta, e nel 994 torna al suo monastero sull’Aventino. Qui viene a trovarlo Ottone III, che lo venera come un maestro e come un padre.
Ma ecco dapprima una notizia orribile per Adalberto: in Boemia c’è stato un massacro di suoi congiunti.
E poco dopo un’altra, allucinante: sempre per la spinta dei soliti vescovi tedeschi, Papa Gregorio V gli comanda ancora una volta di tornare a Praga.
Nuova obbedienza, ma ora il duca di Boemia gli proibisce di mettere piede in città, e Adalberto si trova espulso ma libero.
Non torna a Roma. Sarà missionario al Nord, tra i prussiani, che ignorano ancora del tutto il Vangelo.
Il re di Polonia, Boleslao il Valoroso, lo aiuta con una scorta a penetrare in Prussia, fino a Danzica. Di là egli prosegue inerme con pochi monaci, ma il suo lavoro missionario dura appena pochi giorni: nella primavera del 997 Adalberto e i suoi compagni vengono trucidati presso la costa baltica.
Il duca di Polonia riscatta la salma e la farà poi collocare a Gniezno (prima sede episcopale polacca) nel duomo costruito nell’anno 1000.
Intanto nel 999 Papa Silvestro II l’ha già proclamato santo, e nello stesso anno è giunto a Gniezno in pellegrinaggio l’imperatore Ottone III.
Nel 1039, poi, è Praga che accoglie per sempre nella cattedrale i resti di Adalberto, il suo primo vescovo slavo.
Davanti a quei resti, dopo quasi mille anni, verrà a pregare Giovanni Paolo II, Wojtyla, il primo pontefice slavo della storia cristiana.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Egidio d’Assisi (23 Aprile)
m. Monteripido, Assisi, 23 aprile 1262
Egidio fu il terzo compagno di San Francesco e si associò a lui nel 1208. Condusse una vita semplice e mite.
Spinto da vera devozione peregrinò ai più noti santuari, tra cui quello del sepolcro di Cristo. Nei viaggi a piedi, si guadagnava da vivere prestando la sua opera ai contadini.
In seguito si ritirò nei romitori dell’Umbria e da ultimo in quello di Monteripido fuori Perugia.
Fu consigliere di Papi e di prelati. Papa Pio VI ne approvò il culto.
Martirologio Romano: A Perugia, Beato Egidio da Assisi, religioso dell’Ordine dei Minori, che fu compagno di San Francesco e rifulse nelle sue peregrinazioni per la fede intrepida e la mirabile semplicità.
É il terzo compagno di San Francesco d’Assisi, dopo i concittadini Bernardo di Quintavalle e Pietro Cattani. Entrambi benestanti e colti, i due hanno lasciato tutto una settimana prima di lui, per vivere col Poverello nella zona boscosa della Porziuncola, in capanne singole di tronchi e rami, mangiando di solito pane e olive.
Egidio li raggiunge il 23 aprile 1208, e non aveva nulla da abbandonare. È un bracciante analfabeta, padrone solo di un mantello: ma anche questo gli dura poco, perché dopo alcuni giorni lo regala a un mendicante. Ha tre passioni: viaggiare, predicare, lavorare. Va a giornata dai contadini dove e quando è possibile, e così procura cibo ai primi confratelli. Cerca di istruirsi, fa l’apprendistato accompagnando Bernardo, e a volte con lui prende botte, perché la gente li scambia per “ribaldi”.
Nella primavera del 1209, con una decina di confratelli, accompagna Francesco a Roma, dove il papa Innocenzo III approva la prima regola dei frati Minori, ma solo a voce. Nel 1212-1213 va pellegrino a Santiago de Compostela, a San Michele al Gargano, a San Nicola di Bari e poi in Terrasanta. Sempre lavorando anche qui, perché conosce tutti i mestieri delle campagne.
Francesco chiede ai suoi frati di predicare innanzitutto “attraverso le azioni”, ossia col loro comportamento. Ma quando ci sono problemi di lingua, si predica “con le azioni”, anche in senso letterale. Ad esempio, Francesco si copre il capo di cenere quando invita alla penitenza. Pure Egidio si aiuta con azioni mimiche: inscena la disperazione dei dannati con gesti delle braccia e con movimenti del corpo; oppure “illustra” la beatitudine dei giusti con gli atti di chi suona campane celesti. Una predicazione che stupisce, attrae, ma a volte provoca le reazioni aggressive di chi non capisce.
Nell’ottobre 1226, lui e frate Bernardo, i due primi compagni (Pietro Cattani è già morto), sono accanto a Francesco morente, che vorrebbe benedire Bernardo ma, essendo cieco, pone dapprima la mano sul capo di Egidio. Nel ricordo dei frati Minori, questi è il confratello limpido e laborioso, il portatore di gioia. I Fioretti ricordano la sua visita a frate Bernardo morente: «Venne quello ierarchico e divino frate Egidio, il quale veggendo frate Bernardo, con grande allegrezza disse: “Sursum corda, frate Bernardo, sursum corda!”».
Sempre nei Fioretti troviamo un episodio di pura fantasia, mai avvenuto, che tuttavia rivela l’amore di tutto l’Ordine per questo generoso pioniere: vi si racconta che il re Luigi IX di Francia sarebbe accorso come pellegrino a Perugia, soltanto per conoscerlo, e per stare con lui "per grande spazio..., senza dirsi parole insieme".
La vita di frate Egidio si conclude nel convento francescano di Monteripido presso Perugia, dove il lavoratore instancabile si ritira nel silenzio. Nel 1777, il pontefice Pio VI conferma il culto di lui come Beato. Il Martirologio romano ne ricorda "l’intrepida fede e la meravigliosa semplicità".
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beata Elena Valentini da Udine - Religiosa, Terziaria Agostiniana (23 Aprile)
Udine, 1396/7 - 23 aprile 1458
Tra le penitenze che la Beata friulana Elena Valentini si infliggeva vi erano trentatré sassolini messi nelle scarpe. Il numero simbolico rimanda già alla spiegazione che lei dava: «Per amore de' balli che in lo secolo faceva (io facevo ndr), offendendo el mio Signore, e per amore che il mio dolze Iesu trentatré anni per mio amore per lo mondo caminò».
La donna, nata a Udine nel 1396 nella famiglia dei signori di Maniago, era divenuta terziaria agostiniana dopo essere rimasta vedova. A 18 anni infatti era andata in sposa al nobile Antonio Cavalcanti, al quale aveva dato sei figli. Poi la scelta religiosa, sollecitata dalla predicazione dell'Agostiniano Angelo di San Severino.
Elena visse 12 anni in casa con la sorella Perfetta, anch'ella terziaria agostiniana, nella più stretta penitenza: usciva solo per andare a pregare nella chiesa di Santa Lucia. Morì, dopo essere rimasta a lungo a letto per la frattura di entrambi i femori, nel 1458. È venerata nel duomo di Udine. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Udine, Beata Elena Valentini, vedova, che, per servire Dio solo, operò laboriosamente nell’Ordine secolare di Sant’Agostino, dedicandosi alla preghiera, alla lettura del Vangelo e alle opere di misericordia.
Nata nel 1396 (o 1397) a Udine nella famiglia dei Valentini signori di Maniago, andò sposa verso il 1414 al nobile Antonio Cavalcanti, al quale diede sei figli. Rimasta vedova nel 1441, decise di ritirarsi dal mondo e, sotto l'influenza della vibrante parola dell'agostiniano Angelo da S. Severino, si fece terziaria agostiniana. Anche dopo aver emesso la professione, continuò a vivere nella casa lasciatale dal marito, fino al 1446, quando andò a stabilirsi dalla sorella Perfetta, anch'essa da poco terziaria agostiniana.
Condusse sempre una vita di penitenza e di rigorosa mortificazione, nutrendosi per lo più di solo pane e acqua, dormendo sopra un duro giaciglio di sassi, ricoperti appena da un sottile strato di paglia, flagellandosi continuamente a sangue per tutto il corpo e camminando con trentatrè sassolini nelle scarpe “per amore de’ balli e danze che in lo secolo faceva offendendo el mio Signore, e per amore che il mio dolze Iesu trentatré anni per mio amore per lo mondo caminò”.
In tutte le diverse forme di penitenza a cui volle sottoporsi, ella fu sempre ispirata dal duplice motivo della imitazione di Cristo e dell'antitesi alla sua precedente esistenza mondana, pur se talvolta non mancarono profonde crisi di sconforto e di stanchezza, a cui seppe reagire con grande forza d'animo, chiusa in una piccola cella nella sua stessa casa, da cui usciva soltanto per recarsi a pregare e a meditare nella sua diletta chiesa di S. Lucia.
A supremo conforto nella sua vita di completa rinuncia e di lotta, ebbe estasi e celesti visioni, gratificata inoltre da Dio del dono dei miracoli e della conoscenza di cose occulte.
A causa della frattura di entrambi i femori trascorse gli ultimi anni sempre stesa nel suo povero e duro giaciglio in serena e paziente attesa della morte, che giunse il 23 aprile 1458.
Dopo diversi trasferimenti, le spoglie mortali della Beata trovarono nel 1845 la loro degna sede nel Duomo, dove sono tuttora esposte alla venerazione pubblica.
Il suo culto fu confermato nel 1848 da Pio IX. La sua memoria liturgica ricorre il 23 aprile.
(Autore: P.Bruno Silvestrini O.S.A. – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Elena Valentini da Udine, pregate per noi.
*Sant'Etelredo, Re dei Sassoni Occidentali - Martire (23 Aprile)
+ 871
Morì l’anno 871 ed è chiamato Santo dal Ferrari, che lo ricorda il 23 aprile; invece, le fonti più antiche sulla storia dei Sassoni non fanno menzione del suo martirio, né gli danno la qualifica di Santo.
(Autore: Justo Fernandez Alonso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Sant'Eulogio di Edessa - Vescovo (23 Aprile)
† 387
Martirologio Romano: A Edessa nell’antica Siria, Sant’Eulogio, vescovo, che si dice sia morto il Venerdì Santo.
Durante la persecuzione dell'imperatore Valente (364-378) a favore dei semi-ariani contro i cattolici, Barsete, vescovo di Edessa, era stato mandato in esilio; due sacerdoti della diocesi, Eulogio e Protogene, presero la direzione della comunità cattolica.
Ma presto anch’essi, dopo aver resistito al prefetto Modesto, vennero esiliati ad Antinoe, capitale della Tebaide.
Alla morte di Valente, finita la persecuzione, Eulogio tornò ad Edessa e venne nominato vescovo in successione di Barsete, morto nel marzo del 378 secondo la Cronaca di Edessa, che completa le notizie trasmesse da Teodoreto nella Storia Ecclesiastica.
Eulogio fu consacrato vescovo da Eusebio di Samosata, benché la Chiesa di Edessa dipendesse soltanto da Antiochia: in quel momento, infatti, quest’ultima città era in mezzo alle difficoltà causate dallo scisma di Melezio. Eulogio partecipò al secondo Concilio Ecumenico a Costantinopoli nel 381.
Si sa pure che Eulogio consacrò Protogene vescovo di Harràn. Sempre secondo la Cronaca di Edessa Eulogio morì il Venerdì Santo del 387 e ebbe come successore Ciro.
Nel Martirologio Romano Eulogio viene commemorato al 5 maggio, giorno al quale l’ha introdotto il Baronio non si sa per quale ragione; nei sinassari bizantini non sembra che Eulogio sia mai stato ricordato.
Tra i diversi martirologi siriaci antichi a noi pervenuti, solo il calendario del secolo IX del convento di Qennesrin, contenuto nel ms. add. 14504 del British Museum, menziona al 21 haziràn (giugno) Eulogio vescovo di Edessa.
(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eulogio di Edessa, pregate per noi.
*San Gerardo di Orchimont - Abate di Florennes (23 Aprile)
Martirologio Romano: A Toul in Lotaringia, nell’odierna Francia, San Gerardo, vescovo, che per trentuno anni dotò la città di ottime leggi, nutrì i poveri, venne in soccorso del popolo in tempo di peste con preghiere e digiuni, dedicò la cattedrale e aiutò i monasteri non solo materialmente, ma popolandoli anche di Santi discepoli.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gerardo di Orchimont, pregate per noi.
*San Gerardo di Toul - Vescovo (23 Aprile)
Colonia, 935 ca. - Toul, 23 aprile 994
Martirologio Romano: A Toul in Lotaringia, nell’odierna Francia, San Gerardo, Vescovo, che per trentuno anni dotò la città di ottime leggi, nutrì i poveri, venne in soccorso del popolo in tempo di peste con preghiere e digiuni, dedicò la cattedrale e aiutò i monasteri non solo materialmente, ma popolandoli anche di santi discepoli.
Nato a Colonia verso il 935, Gerardo (lat. Gerardus) era canonico del capitolo di san Pietro in questa stessa città, quando Brunone, arcivescovo di Colonia e duca di Lorena (fratello di Ottone I) lo scelse per sostituire il vescovo di Toul, Gozelino.
Fu consacrato a Treviri il 29 marzo 963 ed uno dei suoi primi pensieri fu quello di portare a termine la costruzione dell’abbazia di St-Mansuy (San Mansueto), iniziata da Gozelino.
Nella sua città episcopale fondò in onore di San Gengolfo (Gengoult), Martire borgognone, un monastero femminile, sostituito nel 986 da un capitolo di canonici. Gli si attribuisce anche la fondazione della Maison-Dieu di Toul.
La sua attività in favore delle parrocchie non è molto nota, ma pare sia stata feconda.
Soprattutto egli legò il suo nome alla ricostruzione della sua cattedrale che consacrò nel 981; l’edificio attuale, costruito nel XIII o nel XIV secolo ha conservato la planimetria della cattedrale di Gerardo ed ha rispettato la sua tomba.
Verso il 984 fece un pellegrinaggio a Roma seguito da chierici e monaci. Sotto il suo episcopato furono portate a Deutz (presso Colonia) le reliquie di sant'Elofo, martire locale, e al priorato di Flavigny-sur-Moselle quelle di San Firmino, vescovo di Verdun.
Malato e sentendo imminente la morte, Gerardo si recò, come di consueto, all’Ufficio notturno nella sua cattedrale; qui cadde, colpito da vivo dolore alla testa.
Fu portato sul suo letto dove morì il 23 aprile 994 dopo avere ancora una volta esortato e benedetto il suo clero.
Fu sepolto nel coro della cattedrale; il 21 ottobre 1050 il suo successore, Bruno di Dabo, divenuto Papa con il nome di Leone IX, procedette all’elevazione delle reliquie.
Gerardo fu il più celebre e il più venerato dei vescovi di Toul e tale celebrità fu dovuta ad un certo numero di documenti falsi, fabbricati più tardi per porre sotto il suo piattonato diverse fondazioni.
Si fabbricò anche nell'XI secolo una pretesa Bolla di canonizzazione ad opera di Leone IX, inserita in una delle biografie di questo papa.
La festa di Gerardo è fissata al 23 aprile malgrado la coincidenza con quella di San Giorgio.
(Autore: Jacques Choux – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Giorgio - Martire di Lydda (23 Aprile)
Cappadocia sec. III - † Lydda (Palestina), 303 ca.
Giorgio, il cui sepolcro è a Lidda (Lod) presso Tel Aviv in Israele, venne onorato, almeno dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa.
La tradizione popolare lo raffigura come il cavaliere che affronta il drago, simbolo della fede intrepida che trionfa sulla forza del maligno.
La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. (Mess. Rom.)
Patronato: Arcieri, Cavalieri, Soldati, Scout, Esploratori/Guide AGESCI
Etimologia: Giorgio = che lavora la terra, dal greco
Emblema: Drago, Palma, Stendardo
Martirologio Romano: San Giorgio, martire, la cui gloriosa lotta a Diospoli o Lidda in Palestina è celebrata da tutte le Chiese da Oriente a Occidente fin dall’antichità.
Per avere un’idea del diffusissimo culto che il santo cavaliere e martire Giorgio, godé in tutta la cristianità, si danno alcuni dati. Nella sola Italia vi sono ben 21 Comuni che portano il suo nome; Georgia è il nome di uno Stato americano degli U.S.A. e di una Repubblica caucasica; sei re di Gran Bretagna e Irlanda, due re di Grecia e altri dell’Est europeo, portarono il suo nome.
È patrono dell’Inghilterra, di intere Regioni spagnole, del Portogallo, della Lituania; di città come Genova, Campobasso, Ferrara, Reggio Calabria e di centinaia di altre città e paesi.
Forse nessun santo sin dall’antichità ha riscosso tanta venerazione popolare, sia in Occidente che in Oriente; chiese dedicate a s. Giorgio esistevano a Gerusalemme, Gerico, Zorava, Beiruth, Egitto, Etiopia, Georgia da dove si riteneva fosse oriundo; a Magonza e Bamberga vi erano delle basiliche; a Roma vi è la chiesa di S. Giorgio al Velabro che custodisce la reliquia del cranio del martire palestinese; a Napoli vi è la basilica di S. Giorgio Maggiore; a Venezia c’è l’isola di S. Giorgio.
Vari Ordini cavallereschi portano il suo nome e i suoi simboli, fra i più conosciuti: l’Ordine di S. Giorgio, detto “della Giarrettiera”; l’Ordine Teutonico, l’Ordine militare di Calatrava d’Aragona; il Sacro Ordine Costantiniano di S. Giorgio, ecc.
È considerato il patrono dei cavalieri, degli armaioli, dei soldati, degli scouts, degli schermitori, della Cavalleria, degli arcieri, dei sellai; inoltre è invocato contro la peste, la lebbra e la sifilide, i serpenti velenosi, le malattie della testa, e particolarmente nei paesi alle pendici del Vesuvio, contro le eruzioni del vulcano.
Il suo nome deriva dal greco ‘ghergós’ cioè ‘agricoltore’ e lo troviamo già nelle ‘Georgiche’ di Virgilio e fu portato nei secoli da persone celebri in tutti i campi, oltre a re e principi, come Washington, Orwell, Sand, Hegel, Gagarin, De Chirico, Morandi, il Giorgione, Danton, Vasari, Byron, Simenon, Bernanos, Bizet, Haendel, ecc.
In Italia è diffuso anche il femminile Giorgia, Giorgina; in Francia è Georges; in Inghilterra e Stati Uniti, George; Jörg e Jürgens in Germania; Jorge in Spagna e Portogallo; Gheorghe in Romania; Yorick in Danimarca; Yuri in Russia. La Chiesa Orientale lo chiama il “Megalomartire” (il grande martire).
Detto tutto questo, si può capire come il suo culto così diffuso in tutti i secoli, abbia di fatto superato le perplessità sorte in seno alla Chiesa, che in mancanza di notizie certe e comprovate sulla sua vita, nel 1969 lo declassò nella liturgia ad una memoria facoltativa; i fedeli di ogni luogo dove è venerato, hanno continuato comunque a tributargli la loro devozione millenaria.
La sua figura è avvolta nel mistero, da secoli infatti gli studiosi cercano di stabilire chi veramente egli fosse, quando e dove sia vissuto; le poche notizie pervenute sono nella “Passio Georgii” che il ‘Decretum Gelasianum’ del 496, classifica tra le opere apocrife (supposte, non autentiche, contraffatte); inoltre in opere letterarie successive, come “De situ terrae sanctae” di Teodoro Perigeta del 530 ca., il quale attesta che a Lydda (Diospoli) in Palestina, oggi Lod presso Tel Aviv in Israele, vi era una basilica costantiniana, sorta sulla tomba di san Giorgio e compagni, martirizzati verosimilmente nel 303, durante la persecuzione di Diocleziano (detta basilica era già meta di pellegrini prima delle Crociate, fino a quando il sultano Saladino (1138-1193) la fece abbattere).
La notizia viene confermata anche da Antonino da Piacenza (570 ca.) e da Adamnano (670 ca) e da un’epigrafe greca, rinvenuta ad Eraclea di Betania datata al 368, che parla della “casa o chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”.
I documenti successivi, che sono nuove elaborazioni della ‘passio’ leggendaria sopra citata, offrono notizie sul culto, ma sotto l’aspetto agiografico non fanno altro che complicare maggiormente la leggenda, che solo tardivamente si integra dell’episodio del drago e della fanciulla salvata da s. Giorgio.
La ‘passio’ dal greco, venne tradotta in latino, copto, armeno, etiopico, arabo, ad uso delle liturgie riservate ai santi; da essa apprendiamo come già detto senza certezze, che Giorgio era nato in Cappadocia ed era figlio di Geronzio persiano e Policronia cappadoce, che lo educarono cristianamente; da adulto divenne tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia Daciano, ma per alcune recensioni si tratta dell’armata di Diocleziano (243-313) imperatore dei romani, il quale con l’editto del 303, prese a perseguitare i cristiani in tutto l’impero.
Il tribuno Giorgio di Cappadocia allora distribuì i suoi beni ai poveri e dopo essere stato arrestato per aver strappato l’editto, confessò davanti al tribunale dei persecutori, la sua fede in Cristo; fu invitato ad abiurare e al suo rifiuto, come da prassi in quei tempi, fu sottoposto a spettacolari supplizi e poi buttato in carcere. Qui ha la visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre volte la resurrezione.
E qui la fantasia dei suoi agiografi, spazia in episodi strabilianti, difficilmente credibili: vince il mago Atanasio che si converte e martirizzato; viene tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade; risuscita operando la conversione del ‘magister militum’ Anatolio con tutti i suoi soldati che vengono uccisi a fil di spada; entra in un tempio pagano e con un soffio abbatte gli idoli di pietra; converte l’imperatrice Alessandra che viene martirizzata; l’imperatore lo condanna alla decapitazione, ma Giorgio prima ottiene che l’imperatore ed i suoi settantadue dignitari vengono inceneriti; promette protezione a chi onorerà le sue reliquie ed infine si lascia decapitare.
Il culto per il martire iniziò quasi subito, come dimostrano i resti archeologici della basilica eretta qualche anno dopo la morte (303?) sulla sua tomba nel luogo del martirio (Lydda); la leggenda del drago comparve molti secoli dopo nel Medioevo, quando il trovatore Wace (1170 ca.) e soprattutto Jacopo da Varagine († 1293) nella sua “Leggenda Aurea”, fissano la sua figura come cavaliere eroico, che tanto influenzerà l’ispirazione figurativa degli artisti successivi e la fantasia popolare.
Essa narra che nella città di Silene in Libia, vi era un grande stagno, tale da nascondere un drago, il quale si avvicinava alla città, e uccideva con il fiato quante persone incontrava. I poveri abitanti gli offrivano per placarlo, due pecore al giorno e quando queste cominciarono a scarseggiare, offrirono una pecora e un giovane tirato a sorte.
Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, il quale terrorizzato offrì il suo patrimonio e metà del regno, ma il popolo si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli, dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane fanciulla piangente si avviò verso il grande stagno.
Passò proprio in quel frangente il giovane cavaliere Giorgio, il quale saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessina, promettendole il suo intervento per salvarla e quando il drago uscì dalle acque, sprizzando fuoco e fumo pestifero dalle narici, Giorgio non si spaventò, salì a cavallo e affrontandolo lo trafisse con la sua lancia, ferendolo e facendolo cadere a terra.
Poi disse alla fanciulla di non avere paura e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; una volta fatto ciò, il drago prese a seguirla docilmente come un cagnolino, verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li rassicurò dicendo: ”Non abbiate timore, Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: Abbracciate la fede in Cristo, ricevete il battesimo e ucciderò il mostro”.
Allora il re e la popolazione si convertirono e il prode cavaliere uccise il drago facendolo portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi. La leggenda era sorta al tempo delle Crociate, influenzata da una falsa interpretazione di un’immagine dell’imperatore cristiano Costantino, trovata a Costantinopoli, dove il sovrano schiacciava col piede un drago, simbolo del “nemico del genere umano”.
La fantasia popolare e i miti greci di Perseo che uccide il mostro liberando la bella Andromeda, elevarono l’eroico martire della Cappadocia a simbolo di Cristo, che sconfigge il male (demonio) rappresentato dal drago. I crociati accelerarono questa trasformazione del martire in un santo guerriero, volendo simboleggiare l’uccisione del drago come la sconfitta dell’Islam; e con Riccardo Cuor di Leone (1157-1199) san Giorgio venne invocato come protettore da tutti i combattenti.
Con i Normanni il culto del santo orientale si radicò in modo straordinario in Inghilterra e qualche secolo dopo nel 1348, re Edoardo III istituì il celebre grido di battaglia “Saint George for England”, istituendo l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio o della Giarrettiera.
In tutto il Medioevo la figura di s. Giorgio, il cui nome aveva tutt’altro significato, cioè ‘agricoltore’, divenne oggetto di una letteratura epica che gareggiava con i cicli bretone e carolingio. Nei Paesi slavi assunse la funzione addirittura ‘pagana’ di sconfiggere le tenebre dell’inverno, simboleggiate dal drago e quindi di favorire la crescita della vegetazione in primavera; una delle tante metamorfosi leggendarie di quest’umile martire, che volle testimoniare in piena libertà, la sua fede in Cristo, soffrendo e donando infine la sua giovane vita, come fecero in quei tempi di sofferenza e sangue, tanti altri martiri di ogni età, condizione sociale e in ogni angolo del vasto impero romano.
San Giorgio è onorato anche dai musulmani, che gli diedero l’appellativo di ‘profeta’. Enrico Pepe sacerdote, nel suo volume ‘Martiri e Santi del Calendario Romano’, conclude al 23 aprile giorno della celebrazione liturgica di San Giorgio, con questa riflessione: “Forse la funzione storica di questi santi avvolti nella leggenda è di ricordare al mondo una sola idea, molto semplice ma fondamentale, il bene a lungo andare vince sempre il male e la persona saggia, nelle scelte fondamentali della vita, non si lascia mai ingannare dalle apparenze”.
(Autore: Antonio Borrelli)
Scheda Completa di San Giorgio
A Lydda (Diospoli), in Palestina, era venerato il suo sepolcro, come risulta da Teodosio Perigeta (ca. 530; De situ terrae sanctae, in CSEL, XXXIX, Vienna 1898, p. 139: «in Diospolim, ubi sanctus Georgius martyrizatus est, ibi et corpus eius est et multa mirabilia fiunt»); da Antonino da Piacenza (ca. 570; Itinerarium, ibid., p. 176) e da Adamnano (ca 670; De Locis sanctis, III, 4, ibid., pp. 288-94).
I resti archeologici della basilica cimiteriale ancor oggi visibili (D. Baldi, Guida di Terra Santa, Gerusalemme 1953, pp. 332-33) sono da alcuni attribuiti ad una costruzione costantiniana, comunque molto vicina alla data della morte del martire. Inoltre, un'epigrafe greca, rinvenuta in Eaccaea di Batanea e datata dal Delehaye al 368, parla di una «casa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni», o chiesa, dedicata al santo qualche decennio dopo la sua morte.
Oltre questi pochi elementi non c'è che la passio leggendaria di cui la più antica redazione è contenuta nel palinsesto greco 954 della Biblioteca Nazionale di Vienna, dal Detlefsen pubblicata nel 1858 e da lui datata agli inizi del sec. V, che è forse la stessa elencata nel citato Decretum gelasianum.
I documenti posteriori - nuove redazioni della passio e altri racconti - se offrono notizie intorno al culto, sotto l'aspetto agiografico non fanno che complicare fino all'inverosimile la leggenda che solo tardivamente si abbellisce dell'episodio del drago e della fanciulla salvata dal santo.
Le molte passiones prima greche, poi, dal periodo delle Crociate latine, offrono sempre nuove notizie sulla vita del santo: conceptio, nativitas, vita, miracula, martyrium. Ad esse fanno eco homeliae, laudationes e sermones (elenchi in BHG, I, pp. 212-23, nn. 669y-691y, ed in BHL, I, pp. 502507, nn. 3363-406; Suppl., pp. 143-46, nn. 3363-404) a cui sono da aggiungere testi ritrovati e pubblicati successivamente, ad es. Miracula s. Georgii (ed. I. B. Aufhauser, Lipsia 1913), la passio in due codd. dell'Ambrosiana (secc. XI e XII, ed. A. Saba, in Aevum, VII [1933], pp. 3-22 e gli Acta s. Georgii contenuti nell'interessante cod. papiraceo greco del sec. VII-VIII (L. Casson - E. L. Hettich, Excavations at Nessana, II, Literary papyri, Princeton 1950, pp. 123-42).
Una redazione della passio, tra le più antiche, che ebbe grande fortuna è quella contenuta nel cod. Vat. Gr. 1660, del 916, tradotta in latino dal Lippomano, da cui dipendono il panegirico di Andrea di Creta (m. 767) ed il Menologio di Metafraste (ca. 964). Altre redazioni parallele o dipendenti, secondo gli autori citati dal Delehaye (p. 45), furono raccolte e studiate da K. Krumbacher e A. Ehrhard nel 1911. Materiale notevole venne pubblicato fin dal 1675 negli Acta SS.
Oltre che in latino, la passio fu tradotta in copto, armeno, etiopico, arabo, per l'uso liturgico che allora si faceva delle Vitae dei santi.
II. Vita Secondo la «prima» leggenda e i successivi ampliamenti, fin dalla concezione Giorgio è predestinato a grandi cose; la sua nascita porta grande gioia ai genitori Geronzio, persiano, e Policronia, cappadoce, che lo educano religiosamente fino al momento in cui entra nel servizio militare. Il martirio avviene sotto Daciano imperatore dei Persiani (che però in molte recensioni è sostituito da Diocleziano, imperatore dei Romani) il quale convoca settantadue re per decidere le misure da prendere contro i cristiani. Giorgio di Cappadocia, ufficiale delle milizie, distribuisce i beni ai poveri, e, davanti alla corte, si confessa cristiano; all'invito dell'imperatore di sacrificare agli dei si rifiuta ed iniziano le numerose e spettacolari scene-di martirio. Giorgio viene battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ha una visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione. Quindi ha la meglio sul mago Atanasio che si converte e viene martirizzato; tagliato in due con una ruota irta di chiodi e spade, Giorgio risuscita convertendo il magister militum Anatolio e tutte le sue schiere che vengono passate a fil di spada. A richiesta del re Tranquillino risuscita diciassette persone morte da quattrocentosessant'anni, le battezza e la fa sparire; entra in un tempio pagano e con un alito abbatte gli idoli. L'imperatrice Alessandra si converte e viene martirizzata; l'imperatore lo condanna nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implora da Dio che l'imperatore ed i settantadue re siano inceneriti; esaudita la sua preghiera si lascia decapitare promettendo protezione a chi onorerà le sue reliquie.
La leggenda della fanciulla liberata dal drago per opera di Giorgio sorse successivamente: sembra che il racconto di tale episodio sia nato, al tempo dei Crociati, dalla falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore Costantino che si trovava allora a Costantinopoli, cosí descritta da Eusebio (Vita Constantini, III, 3, in PG, XX, col. 1058) «salutare signum capiti suo superpositum imperator draconem (inimicum generis humani) telis per medium ventris confixum sub suis pedibus... depingi voluit», e dal XVII panegirico di s. Giorgio, recitato da s. Andrea di Creta (ihíd., XCVII, col. 1189): « Benedictus Dominus qui non dedit nos in praedam dentibus eorum » (Ps. 123, 6).
La fantasia popolare ricamò sopra tutto ciò, ed il racconto, passando per l'Egitto, dove Giorgio ebbe dedicate molte chiese e monasteri, divenne una leggenda affascinante la cui diffusione fu probabilmente facilitata anche da una scena (di cui un esemplare si trova ora al Louvre), raffigurante il dio Horu, purificatore del Nilo, cavaliere dalla testa di falco, in uniforme romana, in atto di trafiggere un coccodrillo tra le zampe del cavallo.
Circa il nome, questo Giorgio non è da confondere con altri omonimi, né con i vari Gregorio, e l'etimologia del termine (= agricoltore) ha dato luogo ad originali commenti dell'analogo brano evangelico (Io. 15, 1-7). Inoltre, la qualità dei supplizi richiama la leggenda greca di Perseo e di Andromeda, e la celebre storia del drago, senza il quale non possiamo immaginare la figura di s. Giorgio, si legge con tutti i suoi particolari nel Martirio di San Teodoro (Anal. Boll., II [1883], pp. 359 sgg.; cf. anche: I martiri di San Teodoro e di Sant'Ariadne, in Franchi de' Cavalieri, 6, p. 92, n. 5).
Circa l'anno del martirio, il Ruinart, seguendo il Chronicon alexandrinum seu paschale (PG, XCVI, col. 680), fissa il 284; altri il 249-51; altri ancora, interpretando come Diocleziano il nome di Daciano, lo pongono al 303. Perché poi nella redazione più antica della passio, Diocleziano sia diventato Daziano, sembra da spiegare per la triste rinomanza acquistata da un governatore romano della Spagna nell'epoca dioclezianea, di nome appunto Daziano, tanto feroce contro i cristiani da esser chiamato il «drago degli abissi». lnome tra il IV e il V sec. si diffuse in Oriente, tanto che fu poi portato da vari sovrani della Georgia. L'attribuzione, pertanto, del martirio di Giorgio al tempo di Diocleziano sembra la più probabile.
La sua professione di militare potrebbe derivare da una identificazione con il tribuno che strappò l'editto di Galerio contro i cristiani in Nicomedia, secondo quanto è narrato da Eusebio (Hist. eccl., VIII, 5, in PG, XX, coll. 749-52); ma la localizzazione del culto in Lydda rende improbabile tale identificazione.
A Gerusalemme esisteva nel sec. VI un monastero con chiesa a lui dedicata, come attesta un'epigrafe coeva (J. Perrot, in Syria, XXVII [1950], pp. 194-96); a Bisanzio, come abbiamo visto, era venerato nell'orfanotrofio.
A Gerico fu dedicato a s. Giorgio nel sec. VI un monastero (P. Abel, in Revue Biblique, VIII [1911], pp. 286-89).
A Zorava, nella Traconitide, un'iscrizione del 515 narra l'apparizione di s. Giorgio a Giovanni figlio di Diomede (Delehaye, Origines, p. 86).
A Beiruth il santo riscosse grande venerazione specialmente dopo la vittoria dei Crociati (C. Astruc, Saint Georges à Beyrouth, in Anal. Boll., LXXVII [1959], pp. 54-62) e nell'Iraq numerose erano le chiese a lui dedicate (J.-M. Fiey, Mossoul chrétienne, Beiruth 1959, p. 105).
Grande venerazione riscosse Giorgio in Etiopia, dove la conoscenza delle sue gesta giunse attraverso l'Egitto, ed in Georgia, paese di cui fu ritenuto oriundo (V. Arras, Miraculorum s. Gregorii megalomartyris collectio altera, in CSChO, CXXXVIII-XXXIX, Script. aeth., 31-32, Lovanio 1953; id., La Collection éthiopienne des miracles de s. Georges, in Atti del Convegno internazionale di. Studi Etiopici..., Acc. Naz. dei Lincei, quad. 48, Roma 1960, pp. 273-84).
A Magonza, secondo le testimonianze di Venanzio Fortunato, il quale in cinque distici celebra le gesta del martire orientale, largamente venerato sub occiduo cardine, gli era stata dedicata una basilica a metà del sec. VI (Carm., II, 16, in PL, LXXXVIII, col. 107) ed a Bamberga, Enrico II fondò una chiesa in suo onore.
Anche in Italia il culto a s. Giorgio fu assai diffuso. A Roma, Belisario (ca. 527) affidò alla protezione del santo la porta di San Sebastiano e ai due santi insieme è dedicata la chiesa del Velabro, dove venne trasferito il cranio di Giorgio trovato nel patriarchio lateranense da papa Zaccaria (Lib. pont., I, p. 434).
A Ravenna fin dal sec. VI esisteva una chiesa a lui dedicata nel campo «Coriandro», presso il sepolcro di Teodorico, come ci attesta la biografia del vescovo Agnello (m. 570): "similiter et ecclesiam Beati Georgii reconciliavit temporibus Basilii juniores" (Codex pontificalis Ecclesiae Ravennatis, in RIS, II, 3, p. 217; cf. anche p. 118). Altra chiesa dedicata al santo, S. Georgii de porticibus, si trovava nella Regio Caesarum. Dalla capitale bizantina il culto si estese ben presto a Ferrara (ca. 657) dove fu scelto quale patrono della città primitiva ed in seguito della nuova, dopo la traslazione di reliquie nella nuova cattedrale (1110-35).
A Cornate (Milano) il re Cuniberto (678-688) dedicava una chiesa a San Giorgio (C. Marcora, Il messale di Civate, Civate 1958, p. 38) e a Napoli, agli inizi del sec. V, il vescovo Severo fondava la basilica di S. Giorgio Maggiore (Mallardo, p. 577). Nei paesi bizantini fu venerato, unito a San Demetrio, con l'appellativo di «Dioscuri cristiani» (cf. A. Stylianon, The pointed churches of Cyprus, Cipro 1964, p. 145, fig. 68).
Agli inizi del sec. VI Clodoveo, re dei Franchi, dedicò un monastero al santo e San Germano di Parigi (m. 576) ne diffuse il culto.
In Inghilterra, la fama del martire palestinese era già ampiamente diffusa sin dall'epoca anglosassone, ma il suo culto assunse ancora maggiore sviluppo dopo la conquista normanna (sec. XI) quando in tutto il paese gli furono dedicate numerose chiese.
Le invasioni musulmane, interrompendo il flusso dei pellegrinaggi verso l'Oriente, parvero far decadere il culto di Giorgio; ma le Crociate ne segnano una nuova fase ed esso si riaccende con maggiore intensità quando i Crociati furono da lui assistiti mentre stavano per essere sconfitti dai Saraceni ad Antiochia nel 1089. Conquistata Giaffa e la vicina Lydda i Crociati ricostruirono la basilica cimiteriale incendiata dal califfo Hakõm ottant'anni prima. É di questo periodo la diffusione in Occidente dell'episodio della fanciulla liberata dal dragone per intervento di Giorgio. Tale racconto, accreditato da Giacomo di Varazze nella Legenda aurea, non si trova, ovviamente, nelle fonti più antiche.
Per tutto il Medio Evo, si rinsalda in Inghilterra il culto già nel passato tributato a Giorgio; Riccardo I durante la III Crociata disse di aver visto il santo con lucente armatura guidare le truppe cristiane alla vittoria; al tempo di Enrico III, la festa di Giorgio fu considerata festa d'obbligo; Edoardo III introdusse il famoso grido di battaglia St. George for England, e fondò nel 1348 l'Ordine di S. Giorgio, detto «della Giarrettiera»; al tempo di Enrico V l'arcivescovo di Ganterbury prescriveva per la festa del santo la stessa solennità del Natale. Ancora oggi gli Anglicani hanno conservato il nome di Giorgio nel loro calendario e la rossa croce di S. Giorgio in campo bianco campeggia sulla bandiera inglese.
I paesi che hanno il santo martire palestinese come patrono sono innumerevoli: prime fra tutte le città marinare di Genova, Venezia e Barcellona da cui, coi Crociati, partivano i commercianti per l'Oriente. Tra i molti Ordini religiosi e cavallereschi, oltre ai Benedettini a lui devoti, ricordiamo l'Ordine Teutonico, il già citato «Ordine della Giarrettiera», l'Ordine militare di Calatrava di Aragona, a cui Bonifacio IX concesse di portare in guerra vexilla sancti Georgii (Reg. Aven. 305, f. 289v.), ed il "Sacro militare Ord. Costantiniano di S. Giorgio", la cui fondazione, senza peraltro solide basi storiche, è da alcuni attribuita a Costantino e da altri ad Angelo Comneno nel 1190. Nel 1690, Andrea Flavio, l'ultimo dei Comneni, cedette i suoi diritti a Gianfrancesco Farnese duca di Parma, che, a sua volta, li cedette all'Infante di Spagna divenuto re di Napoli, il quale diede all'Ordine il nome attuale, oltre che una nuova costituzione. Gli ultimi statuti risalgono al 1934; l'Ordine è riconosciuto dalla S. Sede. L'insegna è una croce gigliata, smaltata di porpora, con al centro il monogramma; negli angoli della croce le lettere I H S V (in hoc signo vinces).
Giorgio è inoltre protettore, con San Sebastiano e San Maurizio, dei cavalieri e dei soldati, degli arcieri e degli alabardieri, degli armaioli, dei piumaroli (elmo) e dei sellai; infine era invocato contro i serpenti velenosi, contro la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe.
La celebrazione liturgica
I calendari orientali riportano la commemorazione di Giorgio al 23 aprile recensendone le gesta secondo le passiones conosciute (J. M. Fiey, Le Sanctoral syrien oriental d'après les Evangéliaires et Bréviaires du XI au XIII siècle, in L'Orient syrien, VIII [1963], p. 37), alla stessa data lo commemora il Calendario marmoreo di Napoli del sec. IX, di spiccata influenza bizantina (D. Mallardo, Il Calendario marmoreo di Napoli, in Ephemerides liturgicae, XVIII [1947], pp. 149-50).
Anche i calendari delle Chiese occidentali fissano la commemorazione anniversaria del martirio di San Giorgio al 23 aprile (W. H. Frere, Studies in early Roman Liturgy [ = Alcuin club collections, XXVIII], Oxford 1930, pp. 100-101; v. anche P. Perdrizet, Le calendrier parisien à la in du moyen-age, Parigi 1933, pp. 123-24; cf. p. 149) e solo le chiese dell'Italia settentrionale riportano la celebrazione al giorno seguente (24), come si ha da un calendario modenese del sec. XI (ed. B. Bacchini, in Rerum ital. script., II [1718], p. 145), dai Messali e Breviari ferraresi e dall'uso milanese che forse ha influenzato le diocesi dell'Emilia altra volta sue suffraganee (E. Cattaneo, L'evoluzione delle feste di precetto dal sec. XIV al XX, Milano 1956, pp. 74, 136, per gli anni 1396 e 1498; per Pavia cf.: L. Valle, Le reliquie di San Giorgio, Pavia 1903, p. 15, n. 1). Nel Martirologio Geronimiano figura al 15, 23, 24, 25 apr. e al 7 maggio, ma solo in codd. tardivi.
Il Sacramentario Leoniano del V sec. (ed. L. C. Mohlberg, p. 16) contiene i testi della Messa di s. Giorgio martire e non di San Gregorio (Frere, loc. cit.) che venivano letti nella stazione che si teneva al Velabro "eius passio contulit hodiernum in tua virtute conventum"; mentre il più tardivo (secc. VII-VIII) Sacramentario Gregoriano (ed. H. A. Wilson, p. 27) sembra essere influenzato dalle fantastiche passiones (diversa supplicia sustinuit) cosí come gli antichi testi liturgici «propri», mentre l'orazione del Messale attuale era già in uso nei Sacramentari e Messali latini dal sec. IX (P. Bruylants, Les oraisons du Missel romain, II, in Etudes liturgiques, I, Lovanio 1952, n. 401).
I1 sinodo provinciale di Colonia del 1308 (Kellner, p. 22) elencava la festa di s. Giorgio tra quelle di precetto ed il De Officiis palatii di Giorgio Codino indicava il giorno di s. Giorgio tra quelli in cui l'imperatore, al tempo dei Paleologi, partecipava solennemente alle celebrazioni religiose in Costantinopoli (ed. J. Goar, Bonn 1839, p. 81; cf. anche indice).
Fino a qualche decennio fa la festa di Giorgio era di precetto in diverse diocesi di cui era patrono (ad es. Ferrara, Gnesen), ma, mutate condizioni sociali, suggerirono la soppressione del precetto religioso, mentre ultimamente la S. Congregazione dei Riti ha ridotto di grado (e non soppressa come erroneamente fu scritto) tale festa per mancanza di notizie biografiche sicure da inserire nella liturgia (AAS, LII [1960], pp. 690, 706).
Reliquie. Grande venerazione riscosse il sepolcro del martire e le sue reliquie furono trasferite probabilmente durante l'invasione persiana all'inizio del sec. VII o poco dopo, all'arrivo dei musulmani. S. Gregorio, vescovo di Tours (m. 594), nell'opera Miracolorum liber, I, CI (ed. T. Ruinart, in PL, LXXI, coll. 792-93) ricorda la traslazione di reliquie a Limoges ed a Le Mans. A Roma il cranio del martire riscosse venerazione nella basilica di S. Giorgio in Velabro fin dal sec. VIII; nel 1600 ne fu trasferita una parte a Ferrara. Nell'852 Pietro della Marca spagnola ricorda la traslazione in Spagna di reliquie di s. Giorgio e di s. Aurelio (Marca Hispanica, Parigi 1688, col. 357). I1 conte Roberto di Fiandra, nel 1110 portò a Ferrara un braccio di s. Giorgio, donandolo alla contessa Matilde la quale, a sua volta, lo donò alla nuova cattedrale della città che venne dedicata al santo nel 1135, come ci attesta la prima iscrizione poetica italiana (G. Bertoni, La fondazione della cattedrale di Ferrara e l'iscrizione del 1135, in La cattedrale di Ferrara, Verona 1937, pp. 129-37; v. anche: G. Pistarino, Le iscrizioni ferraresi del 1135, in Studi medievali, sez. III, V, Spoleto 1964, pp. 66-160):
«Il mille cento trenta cenque nato
fo questo templo a San Giorgio donato
da Glielmo ciptadin per so amore
et ne fo l'opra Nicolao scolptore».
La stessa reliquia, nel 1388, fu racchiusa dal vescovo Marcapesi in un artistico reliquiario d'argento (M. A. Guarini, Compendio historico delle chiese di Ferrara, Ferrara 1621, pp. 14-15). Nel 1462, al tempo dell'abate di S. Giorgio Maggiore, Teofilo Beacqui da Milano, con grande pompa un altro braccio di Giorgio fu accolto a Venezia (G. Damerini, L'isola e il cenobio di S. Giorgio Maggiore, Venezia 1956, pp. 95 sgg., 136).
IV. Folklore
La leggenda di Giorgio, patrimonio della cultura religiosa popolare, ebbe nuovo impulso e più ampia diffusione con la Legenda aurea di Giacomo da Varazze (m. 1395). Una Istoria di santo Giorgio cavaliero si trova nel ms. italiano Canonici 58 della Biblioteca Bodleiana di Oxford, (ed. A. Mortara, Oxford 1864, p.58; cf. pp. 204, 211) intitolato Libro dillettevole da legiere et da imparare a scrivere qual si contengono dieci instorie; questo testo, trascritto da Agostino di Cipriano verso la metà del sec. XVI, ebbe in seguito varie edd. a stampa.
Le leggende agiografiche e moraleggianti, come spesso accade, ispirarono la poesia religiosa e i canti popolari creando anche intorno a questo martire una letteratura che sembra gareggiare con quella dei cavalieri dei cicli brettone e carolingio. Il coraggio indomito nella professione della fede, la tutela generosa della giovane indifesa, l'uccisione del drago che seminava stragi umane furono motivi di esaltazione dell'eroica figura.
Nella tradizione islamica a Giorgio è dato il titolo di «profeta», ed il racconto delle sue gesta, risalente a Wahb ibn Munabbih (m. ca. 728-33), riproduce quasi alla lettera la versione siriaca della redazione più antica della leggenda, la quale, peraltro, «ignora l'aspetto guerriero della figura del santo e la localizzazione della sua battaglia contro il drago a Lydda o a Beryto, di cui, invece, la devozione popolare islamica ha conservato memoria fino ai nostri giorni» (G. Levi della Vida, cit. in bibl., p. 143).
Giorgio fa parte, inoltre, in Occidente, del gruppo dei santi Ausiliatori, cioè di quei santi la cui intercessione, secondo una tradizione popolare che si fa risalire al sec. XIV, è particolarmente efficace in determinate necessità.
Assai spesso, ed in tutte le epoche, Giorgio fu celebrato con panegirici e biografie romanzate: basti citare, fra gli scrittori più antichi Gregorio di Tours (m. 594) e Venanzio Fortunato (m. ca. 600), ricordando il panegirico di Andrea di Creta (m. 767), il sermone (sec. XI) del vescovo Zaccaria (B. Pez, Thesaurus anecdotorum novissimus, Vienna 1723, coll. 15-24) e quello (sec. XI) di s. Pier Damiani (PL, CXLIV, coll. 567-72; cf. anche coll. 145, 1032); il trovatore Wace (ca. 1170), Giacomo da Varazze (m. 1293) e Giacomo Stefaneschi (BHL, Suppl., n. 3401b) fissano l'immagine del santo nella sua leggendaria lotta col drago (cf. la scultura nella lunetta della porta maggiore del duomo di Ferrara, sec. XII-[XIII]) che sarà fonte d'ispirazione per l'arte figurativa dei secoli successivi.
Numerosi sono inoltre i «sacri misteri» che celebrano il martire; nel sec. XV era in grande voga il Ludus draconis, che venne in seguito imitato dai «giuochi» delle corti rinascimentali.
In Inghilterra numerose locande portano il nome di San Giorgio, come ricorda anche Shakespeare in Re Giovanni (atto II, 288); una filastrocca recitata dai bambini dell'Inghilterra settentrionale canta San Giorgio come cavaliere coraggioso (M. F. Bulley, St. George for Merrie England, Londra 1908, p. 30).
In Germania sono a lui dedicate molte acque ritenute miracolose; mentre nei paesi slavi si conservano consuetudini di origine pagana in riferimento all'inizio della primavera.
Da ultimo giova ricordare che l'epopea cavalleresca fiorita alla corte estense intorno all'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, simboleggia, probabilmente, nei due personaggi di Ruggero e Angelica, le figure di Giorgio e della principessa.
Bibliografia: oltre alle opere citt. nel corso del testo, v.: Lippomano, Sanctorum priscorum patrum Vitae, Venezia 1559, pp. 100-104, 123-27; Acta SS. Aprilis, III, ibid. 1738, pp. 101-65, N. Nilles, Kalendarium manuale utriusque Ecclesiae, I, Innsbruck 1896, pp. 143-44; Synax. Constantinop., coll. 623-26, S. Borelli, II Megalomartire S. Giorgio, Napoli 1902 (si tratta di un tipico caso di «involuzione storica», e di assenza totale della critica storica più elementare, ma raccoglie un materiale immenso che può costituire una larga base per ulteriori indagini intorno alla diffusione del culto prestato a Giorgio; inoltre elenca tutti gli scrittori che si sono occupati del santo), H. Delehaye, Les légendes greques des saints militaires, Parigi 1909, pp. 45-76, K. Krumbacher - A. Ehrhard. Der heilige Georg in der griechischen Uberlieterung, Monaco 1911, BHL, Suppl., nn. 3363-401d, Comm. Martyr. Hieron. pp. 205-209; G. Antonucci, La leggenda di S. Giorgio e del drago, in Emporium, LXXVI (1932), pp. 79-89; Delehaye, Origines, passim; F. Cumont, Les plus anciennes légendes de saint Georges, in Revue de l'histoire des religions, CXIV (1936), estratto; Comm. Martyr. Rom., p. 132; Vies des Saints, IV, pp. 591-95, BHG, I, pp. 212-23 nn. 669v-691v; C. Giannelli, Epigrammi di Teodoro Prodromo in onore dei santi megalomartiri Teodoro, Giorgio e Demetrio, in Studi in onore di Luigi Castiglioni, Firenze 1960, pp. 333-71, O. Grosso, San Giorgio nell'arte e nel cuore dei popoli, Milano 1962; L. Santucci, Leggende cristiane, ibid. 1963, pp. 84-85 (riporta la Legenda aurea); P. Toschi, La leggenda di s. Giorgio nei canti popolari italiani, Firenze 1964, M. del Donno, Poesia popolare religiosa. Studi e testi di leggende agiografiche e moraleggianti del Sannio beneventano, in Biblioteca di « Lares » XIII, ibid. 1964, p. 76; G. Levi della Vida, Leggende agiografiche cristiane dell'Islam, in L'Oriente cristiano nella storia della civiltà, Roma 1964, p. 143. (Autore: Dante Balboni)
V. Iconografia
Sarebbe compito difficile, per non dire impossibile, elencare tutte le rappresentazioni relative alla leggenda di Giorgio, perché in questo cavaliere crociato, vincitore del drago, si assommano innumerevoli elementi che hanno radici nelle più antiche mitologie e che, dalle primitive tradizioni cristiane, traggono l'eterna suggestione del male combattuto e vinto e della fede testimoniata col martirio. Per questo appunto sono facili, nella iconografia di Giorgio, le contaminazioni con altri personaggi, sacri o storici, come, ad esempio il Santiago degli spagnoli (San Giacomo il Maggiore), San Maurizio, San Martino e l'imperatore Costantino. Ciò, inoltre, spiega più che a sufficienza l'abbondanza dell'iconografia stessa, la quale, volta a volta rispecchia il culto tributato ininterrottamente in Oriente a Giorgio, la sua assunzione in Occidente a simbolo di intrepida virtù, l'ispirazione fornita all'arte e alle rappresentazioni popolari, nonché ai poemi cavallereschi.
Sebbene generalmente si affermi che nel sec. XVI, tramontando in Occidente il mito della cavalleria, il culto - e, quindi, l'iconografia - di Giorgio siano stati trasferiti essenzialmente in Oriente, dove avevano avuto origine, non vi è forse stato artista europeo che, dopo quella data, non abbia subito il fascino del tema eroico del guerriero di Dio in lotta con il mostro.
Prima di tentare quello che non potrà essere che un giro d'orizzonte sul complesso argomento della iconografia di Giorgio, occorre ricordare come la sua immagine, oltre che nelle raffigurazioni di schietta ispirazione religiose, divenne simbolo frequente negli stemmi, nei suggelli, nelle bandiere e negli stendardi di città e nazioni che ne riconobbero il patronato, di ordini cavallereschi e di associazioni d'arma o di mestiere. Tra le città ricorderemo Genova e Barcellona, non dimenticando Venezia che a Giorgio dedicò ben tre chiese.
Tra le nazioni si può notare tra tutte l'Inghilterra che fatto suo lo stendardo crociato di Giorgio, dedicandogli il patronato dell'Ordine della Giarrettiera, così come in Germania sono stati posti sotto la sua protezione gli appartenenti all'Ordine teutonico. Numerosissime sono poi le associazioni che in passato, e ancora al presente, hanno assunto come simbolo l'immagine di Giorgio, protettore dei cavalieri, degli armaioli, degli arceri, ecc.
Passando all'iconografia religiosa noteremo che molte raffigurazioni, tra le più antiche, rappresentano generalmente Giorgio isolato, a piedi e con il capo nudo dai lunghi e giovanili capelli. Gli attributi sono sempre la corazza, la spada, la lancia (che in certi casi appare spezzata), talvolta lo stendardo crociato. L'immagine del santo a cavallo fa, invece, il più delle volte, parte della scena della lotta contro il drago e compare con maggiore frequenza nelle opere d'arte che illustrano i cicli e i fatti della vita. Il cavallo è prevalentemente bianco.
Iniziando un elenco, più che altro - come si è detto - indicativo delle une e delle altre raffigurazioni, si possono citare numerose sculture: del sec. XIII il bassorilievo della porta di S. Giorgio a Firenze, la statua del portico della cattedrale di Chartres, del sec. XIV la statua nella torre della cattedrale di Friburgo e quella di legno dorato, custodita nel Museo di Digione. Eccelle fra tutte la statua sulla facciata di Orsammichele a Firenze, opera di Donatello (sec. XV), mentre al sec. XVI appartengono la statua sulla facciata di S. Giorgio Maggiore a Venezia e quella bronzea nell'interno della stessa chiesa, opera di Nicolò Roccatagliata (1593), e infine, sempre in detta chiesa, la pala lignea intagliata e colorita attribuita a Pietro da Salò (sec. XVI). Pure opera di Pietro da Salò è il rilievo sul portale di S. Giorgio degli Schiavoni, sempre a Venezia, dove Giorgio è anche presente in un bassorilievo della facciata di S. Marco. Restando ancora nel campo della scultura, ritroviamo la scena della lotta con il drago nei bassorilievi della tomba dei cardinali d'Amboise (1520) nella cattedrale di Rouen.
Passando alle opere pittoriche che arricchiscono l'iconografia di Giorgio, particolare attenzione meritano le innumerevoli figurazioni bizantine, che portano l'impronta della persistente vitalità della leggenda nei luoghi stessi dove essa ebbe origine. Gli affreschi nei conventi del Monte Athos e, in particolare, del Protaton, della laura Catholicon (in cui Giorgio appare con s. Demetrio), del Xenophon (in cui, cosa rara, il santo è cefaloforo) ci rimandano tutti una immagine presso a poco simile: un giovane guerriero dai capelli ricciuti, dalla corazza romana, con spada, lancia e scudo. Nella scena del martirio di s. Autonomos, del Dyonision Trapeza, Giorgio è raffigurato su un cavallo bianco. Ma le immagini piú caratteristiche e fantasiose ce le hanno date i pittori di icone. Nella pittura russa il santo ha un posto del tutto speciale: va ricordata in modo particolare quella icona della scuola di Novgorod (sec. XVI), che riassume in tutti i loro elementi le componenti della leggenda: Giorgio a cavallo contro il drago, la fanciulla in pericolo, il popolo affacciato alle torri della città, che attende l'esito della prova. Una scena simile è riproposta in una icona, ora nel Museo di Oradea (Romania), in cui compare, però, un altro giovane che cavalca sullo stesso destriero del santo, elemento che qualche volta si ritrova anche altrove. Ancora rappresentativi della iconografia orientale sono gli affreschi del Monastero di Staro Magoricino in Serbia (1318) e, infine, gli affreschi della chiesa di Sucevitza (Bucovina), del sec. XVII. In occidente la pittura ha dato un essenziale contributo alla iconografia di Giorgio e tra gli artisti, meritano il primo posto i pittori italiani Vogliamo ricordare tra i primi il dipinto attribuito dal Berenson a Paolo Ucello, ora nella National Gallery di Londra, per il suo carattere quasi surrealista, in cui all'enorme drago dalle grandi ali ocellate, fa contrasto una esilissima vergine e al massiccio cavallo bianco si oppone un Giorgio adolescente, con un volto quasi infantile. Nel 1462 il Mantegna in un dipinto, ora all'Accademia di Venezia, ha rappresentato il santo in armi, ma con la lancia spezzata e Cosmè Tura, nel 1469, lo ha egualmente raffigurato in una tempera, già portello d'organo, nella cattedrale di Ferrara. Nello stesso secolo il Correggio dipinse Giorgio accanto alla Vergine per la chiesa dei Domenicani di Modena (ora nella Galleria di Dresda), mentre Carlo Crivelli, in una formella della pala d'altare detta Madonna della rondine (Nat. Gall. di Londra) presenta un Giorgio dalla pesante ed elaboratissima armatura, la spada levata contro il mostro.
Nel sec. XV il Pisanello ritraeva Giorgio, che si accinge ad affrontare la lotta, per la chiesa di S. Anastasia a Verona, e il Carpaccio trattava lo stesso tema in una serie famosa di dipinti (1501-1503) nella scuola di S. Giorgio degli Schiavoni a Venezia, unitamente alle storie dei santi Girolamo e Trifone. Altri episodi della leggenda sono stati affrescati da Altichiero Altichieri e Iacopo Avanzi nell'oratorio di San Giorgio a Padova (sec. XIV). Anche Raffaello non si sottrasse al fascino del personaggio dipingendo in età giovanile, nel 1504, su ordinazione di Guidobaldo da Urbino, una tavoletta in cui Giorgio appare a cavallo, con elmo e corazza, e alza la spada sul drago, mentre a terra giace la lancia spezzata.
Nel numero delle opere che hanno proposto interi cicli della leggenda, ancora a Venezia, nel sec. XVI, il Veronese dipinse il martirio di Giorgio per la chiesa di S. Giorgio Maggiore. Va fatto, infine, cenno alle numerose miniature sia dei mss. orientali sia dei Libri d'Ore e Breviari occidentali. Per ricordarne alcuni: citiamo quella del Libro d'Ore del maresciallo di Boucicault (Museo Jacquemart-André di Parigi, sec. XIV) e quella del Breviaro del Duca di Bedford (Parigi, Gal. Naz.). Non si esaurisce certo con questi cenni il fitto elenco di immagini relative a Giorgio Quanto in questa sede è stato esposto può dare tuttavia un'idea della ricchezza iconografica a lui dedicata in Oriente e in Occidente.
(Autore: Maria Chiara Celletti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giorgio, pregate per noi.
*San Giorgio di Suelli - Vescovo (23 Aprile)
Cagliari, XI sec. – Suelli (CA), 23 aprile 1117
Martirologio Romano: A Suelli in Sardegna, commemorazione di San Giorgio, vescovo.
Il fatto che sia morto il 23 aprile del 1117, ha creato a volte qualche confusione, visto l’identico giorno di celebrazione del grande martire della Palestina, San Giorgio.
Secondo la sua antica biografia, unica fonte attendibile, Giorgio nacque nell’XI secolo a Cagliari, i suoi genitori Lucifero e Vivenzia erano servi della gleba di una certa Greca, ma virtuosi e timorati di Dio.
Già da bambino si dimostrò penitente e pieno di virtù; studiò latino e greco, che a quell’epoca era di grande importanza e considerazione e a soli 22 anni fu nominato vescovo di Suelli (Cagliari).
Fu per la diocesi un vero pastore, amante dei poveri che aiutava e dei quali possedeva una lista; dedito alla preghiera e ai digiuni.
Il Signore lo gratificò del dono dei miracoli a volte richiamanti la semplicità francescana; non è chiaro quanto tempo governò la diocesi, ma come già detto morì il 23 aprile 1117 e sepolto nella sua cattedrale.
Su questa data comunque esistono delle discordanze con la già citata biografia, infatti alcuni scrittori sardi dicono che s. Giorgio fu vescovo di Suelli prima del vescovo Giovanni morto nel 1117 e ponendo così la data della morte di s. Giorgio al 1050.
La sede vescovile di Suelli (Sardegna sud-orientale) compare nei documenti per la prima volta all’inizio del secolo XI; prima che la diocesi fosse incorporata a quella di Cagliari all’inizio del XV secolo, il culto per San Giorgio era già diffuso almeno dall’inizio del secolo XIII.
Lo confermano l’Ufficio in suo onore, le chiese a lui dedicate a Suelli, Lotzorai, Urzulei, Perfugas, Ossi, Anela, Bitti e le cappelle a Tortolì e Girasole.
A Cagliari nel 1601 il vescovo Lasso Sedeno, trasformò in chiesa una casa nel quartiere di Stampace, ritenuta la casa natale del Santo Vescovo, stabilendo anche la festa annuale al 23 aprile; ma un canonico fece delle opposizioni, ritenendo non vera l’esistenza di San Giorgio vescovo, affermando invece di trattarsi dello stesso San Giorgio martire.
Per chiarire la situazione, il successore del vescovo, mons. Desquivel fece effettuare delle ricerche storiche, i cui risultati furono inviati a Roma alla Sacra Congregazione dei Riti; nel 1609 papa Paolo V confermò definitivamente il culto di San Giorgio vescovo di Suelli. La sua mitria è conservata nella cattedrale di Cagliari ed è invocato contro le carestie.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giorgio di Suelli, pregate per noi.
*Santi Giorgio, Martire e Adalberto di Praga - Vescovo e Martire (23 Aprile)
Il 23 di aprile la Chiesa ricorda la memoria liturgica di due Santi:
San Giorgio, Martire di Lydda - Memoria Facoltativa
Cappadocia sec. III - † Lydda (Palestina), 303 ca.
Sant'Adalberto di Praga, Vescovo e martire - Memoria Facoltativa
Libice, attuale Repubblica Ceca, ca. 956 -
Tenkitten, Prussia, 23 aprile 997
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Giorgio e Adalberto di Praga, pregate per noi.
*Beata Maria Gabriella Sagheddu (23 Aprile)
Dorgali, Sardegna, 17 marzo 1914 - 23 aprile 1939
La Beata Maria Sagheddu nacque a Dorgali, in Sardegna, nel 1914, da una famiglia di pastori. Dopo aver fatto parte dell'Azione Cattolica, entrò tra le Trappiste di Grottaferrata (Roma).
La sua vita religiosa durò solo tre anni e mezzo.
Offerti per l'unità dei cristiani. La badessa, infatti, era sensibile al tema e - su sollecitazione del sacerdote francese Paul Couturier, uno dei primi alfieri dell'ecumenismo - presentò alle claustrali una richiesta di preghiere e offerte perché il desiderio di Gesù («che siano una sola cosa») si avverasse.
Gabriella vi si spese con tutta la sua esistenza. Che volgeva al termine. Morì di tubercolosi nel 1939. Riposa nel monastero di Vitorchiano (Viterbo). Giovanni Paolo II l'ha beatificata nel 1983, alla fine dell'ottavario per l'unità dei cristiani. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel monastero cistercense di Grottaferrata nel territorio di Frascati vicino a Roma, beata Maria Gabriella Sagheddu, vergine, che in tutta semplicità offrì la sua vita, terminata all’età di venticinque anni, per l’unità dei cristiani.
Maria Sagheddu (1914-1939) nacque a Dorgali, in Sardegna, da una famiglia di pastori.
Le testimonianze del periodo della sua infanzia e adolescenza ci parlano di un carattere ostinato, critico, contestatario, ribelle, ma con un forte senso del dovere, della fedeltà, dell'obbedienza pur dentro apparenze contraddittorie: "Obbediva brontolando, ma era docile". "Diceva di no, tuttavia andava subito", dicono di lei.
Ciò che tutti notarono fu il cambiamento che avvenne in lei a diciotto anni: a poco a poco si addolcì, scomparvero gli scatti d'ira, acquistò un profilo pensoso e austero, dolce e riservato; crebbero in lei lo spirito di preghiera e la carità; comparve una nuova sensibilità ecclesiale ed apostolica; si iscrisse all'Azione Cattolica.
Nacque in lei la radicalità dell'ascolto che si consegna totalmente alla volontà di Dio. A ventun anni scelse di consacrarsi a Dio e, seguendo le indicazioni del suo padre spirituale, entrò nel monastero di Grottaferrata, comunità povera di mezzi economici e di cultura, governata allora da madre M.Pia Gullini.
La sua vita appare dominata da pochi elementi essenziali:
* il primo e più visibile è la gratitudine per la misericordia di cui Dio l'ha avvolta, chiamandola ad un'appartenenza totale a lui: amava paragonarsi al figliol prodigo e sapeva dire soltanto 'grazie' per la vocazione monastica, la casa, le superiore, le sorelle, tutto. "Come è buono il Signore!" è la sua continua esclamazione e questa gratitudine penetrerà anche i momenti supremi della malattia e dell'agonia.
* il secondo elemento è il desiderio di rispondere con tutte le sue forze alla grazia: che si compia in lei ciò che il Signore ha iniziato, che si compia la volontà di Dio, perché qui si trova per lei la vera pace.
In noviziato aveva il timore di essere rimandata, ma dopo la professione, vinto questo timore, prese spazio un abbandono tranquillo e sicuro, che generò in lei la tensione al sacrificio totale di sé: "Ora fa Tu", diceva semplicemente. La sua breve vita claustrale (tre anni e mezzo) si consumò come un'eucaristia, semplicemente nel- l'impegno quotidiano della conversione, per seguire Cristo, obbediente al Padre fino alla morte. Gabriella si sentiva definita dalla missione dell'offerta, del dono di tutta se stessa al Signore.
I ricordi delle sorelle sono semplici e significativi: la sua prontezza a riconoscersi colpevole, a chiedere perdono alle altre senza giustificarsi; la sua umiltà semplice e schietta; la sua disponibilità, per cui faceva volentieri qualunque lavoro, si offriva per i lavori più faticosi senza dir nulla a nessuno. Con la professione crebbe in lei l'esperienza della piccolezza:
"La mia vita non vale niente...posso offrirla tranquillamente".
La sua badessa, madre M. Pia Gullini, aveva una grande sensibilità ed un grande desiderio ecumenico. Dopo averli assunti nella sua vita, li aveva comunicati anche alla comunità.
Quando madre M. Pia, sollecitata dal padre Couturier, presentò alle sorelle la richiesta di preghiere e di offerte per la grande causa dell'unità dei cristiani, Suor Maria Gabriella si sentì subito coinvolta e spinta ad offrire la sua giovane vita. "Sento che il Signore me lo chiede - confida alla badessa - mi sento spinta anche quando non voglio pensarci".
Attraverso un cammino rapido e diretto, consegnata tenacemente all'obbedienza, cosciente della propria fragilità, tutta tesa in un solo desiderio: "La volontà di Dio, la sua Gloria", Gabriella raggiunse quella libertà che la spinse ad essere conforme a Gesù, che "avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine". Di fronte alla lacerazione del Corpo di Cristo avvertì l'urgenza di un'offerta di sé, pagata con una coerenza fedele fino alla consumazione. La tubercolosi si manifestò nel corpo della giovane suora, sino ad allora sanissimo, dal giorno stesso della sua offerta, portandola alla morte in quindici mesi di sofferenza.
La sera del 23 aprile 1939 Gabriella concluse la sua lunga agonia, totalmente abbandonata alla volontà di Dio, mentre le campane suonavano a distesa, alla fine dei vespri della domenica del Buon Pastore, in cui il Vangelo proclamava: "Ci sarà un solo ovile e un solo pastore".
La sua offerta, ancor prima della sua consumazione, venne recepita dai fratelli anglicani e ha trovato rispondenza profonda nel cuore di credenti di altre confessioni. L'afflusso di vocazioni, che sono giunte numerose negli anni successivi, sono il dono più concreto di Suor Maria Gabriella alla sua comunità.
Il suo corpo trovato intatto in occasione della ricognizione nel 1957, riposa ora in una cappella adiacente al monastero di Vitorchiano, dove si è trasferita la comunità di Grottaferrata.
Suor Maria Gabriella è stata beatificata da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983, dopo quarantaquattro anni dalla sua morte, nella basilica di S. Paolo fuori le mura, nella festa della conversione di S.Paolo, il giorno conclusivo della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.
(Autore: Antonio Galuzzi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Gabriella Sagheddu, pregate per noi.
*San Marolo di Milano - Vescovo (23 Aprile)
Martirologio Romano: A Milano, San Marólo, vescovo, che fu amico del Papa Innocenzo I.
Il 23 aprile la Chiesa di Milano ricorda San Marolo (408-423), quattordicesimo vescovo di Milano, che il breviario ambrosiano definiva «inclytus virtute», eccellente per virtù.
Probabilmente proveniva dall’oriente. Lo stesso nome - Marolo - significa «uno che viene dal mare» o «abitante sulla costa».
Ennodio, fine poeta latino, diacono milanese, divenuto poi vescovo di Pavia e morto nel 521, scrive che Marolo nacque nella regione di Babilonia, nelle terre da una parte «baciate dal Tigri» dall’altra «illuminate» tra le prime dal Vangelo e tra le prime segnate dal sangue dei martiri.
Forse proprio per fuggire alla persecuzione di Sapore II, passò ad Antiochia di Siria e di lì probabilmente a Roma, poiché fu amico di Papa Innocenzo I (401-417).
Di qui giunse a Milano, circondato dalla fama di uomo colto e zelante. Ennodio disse che fu vescovo «attentissimo» alla sua missione, «impegnato» senza risparmio di energie nel suo ministero, «amante del digiuno» e delle penitenze, viste come strumento di intercessione presso Dio per il suo popolo; «ardente» di zelo per la sua missione; «provvidente» verso i poveri.
A dire il vero, si potrebbe anche tradurre: «fu ardente nel suo provvedere ai poveri». In effetti, fu amato per la sua opera di carità a favore delle vittime delle invasioni dei Visigoti.
Ora riposa nella basilica di San Nazaro, consolato dalle parole di Ambrogio: «Guai a me, se non amerò. Guai a me se amerò meno, io a cui fu tanto donato».
(Autore: Ennio Apeciti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Marolo di Milano, pregate per noi.
*Beato Sebastiano de Riccafont - Mercedario (23 Aprile)
Missionario infaticabile, il Beato Sebastiano de Riccafont, combatté il demonio che spadroneggiava fra gli indios idolatri, convertendone un numero incalcolabile.
Distrusse gli idoli, piantò la Santa Croce, fondò alcuni conventi e pieno di sante opere lasciando di sé un buon nome, morì nel bacio del Signore.
L’Ordine lo festeggia il 23 aprile.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Sebastiano de Riccafont, pregate per noi.
*Beata Teresa Maria della Croce (Teresa Manetti) (23 Aprile)
Campi Bisenzio, Firenze, 2 marzo 1846 - 23 aprile 1910
Martirologio Romano: A Campi Bisenzio in Toscana, Beata Teresa Maria della Croce Manetti, vergine, fondatrice della Congregazione delle Carmelitane di Santa Teresa.
Teresa Manetti nasce il 2 marzo 1846 a San Martino, una frazione di Campi Bisenzio (Firenze), da un'umile famiglia.
L'infanzia di "Bettina", come viene chiamata la piccola Teresa dalla famiglia e dalla gente del paese , è assai difficile per le precarie condizioni economiche della famiglia, seguite alla prematura morte del padre.
Bella ragazza, attenta alla cura della sua persona, a 19 anni scopre la sua Vocazione, iniziando il suo cammino religioso e scegliendo come ispiratrice ideale Santa Teresa d'Avila.
Nel 1872 inizia con alcune compagne la convivenza religiosa e due anni dopo tutte si iscrivono al Terzo Ordine Teresiano, trasferendosi nel "Conventino", una casetta che diviene la prima sede dell'Ordine. Grande importanza hanno in questo periodo i suggerimenti ed i consigli di un giovane parroco, Don Ernesto Jacopozzi, che segue l'attività di Bettina fino al 1894, anno della sua scomparsa.
La Madre non si limita ad una vita religiosa puramente contemplativa ma sceglie di impegnarsi nel mondo, iniziando una grande attività caritatevole, specialmente nel campo dell'assistenza alle orfanelle.
Il successo della Congregazione fa sì che sia necessaria una nuova sede ed in pochi anni, con l'aiuto di Dio e della gente di San Martino e non solo, la Madre può realizzare il suo sogno, la costruzione di un grande Convento e di una Chiesa (1880-1887).
L'attività dell'Ordine ben presto esce dal piccolo paese di San Martino e nuove sedi vengono aperte prima in Toscana, poi in Italia e in altre parti del mondo. Nel 1904 l'Ordine Carmelitano di Santa Teresa riceve l'approvazione da parte di Papa San Pio X e negli anni successivi si aprono case in Siria e Palestina.
Oggi il seme di Bettina ha dato i suoi frutti, oltre che in Italia, anche in Libano, in Israele, in Amazzona e, dopo il crollo del comunismo, a Praga, dove le figlie di Bettina stanno costruendo un pensionato per le studentesse che vanno a studiare nella capitale ceca.
Nel 1908 la Madre viene colpita da un terribile male, che nonostante le cure e la sua lotta (da toscana battagliera come è sempre stata) la porta alla morte terrena il 23 aprile 1910.
La sua fama di Santità viene confermata da numerose attestazioni di Grazie e Miracoli, tanto che nel 1930 si dà inizio al Processo di Beatificazione, che trova ulteriore spinta nel 1938, in seguito alla guarigione miracolosa di una suora veneta dell'Ordine.
Il 19 ottobre 1986, in occasione della sua Visita Pastorale a Firenze, Giovanni Paolo II proclama Beata Teresa Maria della Croce; il 7 dicembre 1999 il Consiglio Comunale di Campi Bisenzio la proclama Patrona della Città, accogliendo le richieste di una petizione popolare che aveva raccolto migliaia di firme tra i concittadini di "Bettina".
(Autore: Francesco Frati – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Teresa Maria della Croce, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (23 Aprile)
*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.